Lo scorso 19 giugno si è tenuto, presso sala Paladin di Palazzo Moroni, l’incontro promosso dall’associazione Antigone per la presentazione del rapporto annuale sulla condizione della detenzione in Italia.

I dati esposti durante l’incontro ci parlano di una situazione decisamente preoccupante relativa al progressivo sovraffollamento delle carceri italiane, con una presenza di circa 61.000 persone su una capienza massima di circa 51.000 posti, cioè il 20% in più della capienza regolare delle carceri.

Le presenze nelle carceri italiane, solo nell’anno 2023, sono state di 3970 unità in più (331 persone in più al mese), un tasso di crescita allarmante che, se dovesse continuare anche per l’anno 2024, porterebbe a circa 65.000 le presenze nelle carceri. Molte delle persone condannate all’interno delle carceri (50-60%) hanno un residuo di pena inferiore o uguale a 4 anni, condizione che permetterebbe a queste persone di restare fuori dal carcere con misure alternative alla detenzione, le quali sono già moltissime e permettono a circa 180.000 persone in Italia di scontare la loro pena o di attendere il giudizio al di fuori del carcere. Purtroppo, però, le misure alternative non sono sufficienti a svuotare le carceri, in quanto i due fenomeni tendono a crescere in maniera direttamente proporzionale, dove all’aumentare di uno, aumenta anche l’altro.

L’aumento delle presenze all’interno delle carceri è dovuto in modo marginale all’aumento degli ingressi, soprattutto per il fenomeno delle “porte girevoli” (persone che affollano il carcere per scontare pene di breve durata), ma principalmente è dovuto all’inasprimento delle condanne a cui abbiamo assistito negli ultimi anni, portando dal 2010 al 2023 ad un aumento del 12% del numero di persone con un residuo di pena superiore a 3 anni, comportando anche un aumento dell’età media della popolazione carceraria.

Aspetto più drammatico risulta essere quello legato alla situazione dei suicidi nelle carceri italiane. Nel 2022 si ha avuto il più alto numero di suicidi mai registrato nella storia penitenziaria italiana, con 85 persone che si sono tolte la vita; nel 2023 il numero è stato di 70 persone, cioè il secondo più alto mai registrato dietro solo a quello dell’anno precedente. I dati relativi all’anno 2024 mostrano che da gennaio fino alla prima metà di giugno, si contano già 44 persone che si sono tolte la vita e, se la tendenza statistica dovesse rimanere questa, entro la fine dell’anno si registrerebbe un numero maggiore anche di quello del 2022.

Stiamo parlando quindi di un rapporto che ci mostra una situazione critica nelle carceri, caratterizzate da un sovraffollamento che è ormai strutturale, favorito da una retorica politica e un contesto sociale che reclamano maggior sicurezza attraverso un aumento della severità usata con le persone che trasgrediscono la legge, donando un’immagine illusoria di sicurezza che vede nell’allungamento delle pene ed nell’estensione delle fattispecie di reati, strumenti utili per rendere il nostro Paese più “sicuro”; purtroppo la realtà è più complicata di così, perché noi sappiamo bene che una maggior sicurezza sociale deriva dalla capacità di un sistema di rieducare e avviare dei percorsi di cambiamento nei confronti delle persone in situazioni di marginalità. L’elevato numero di suicidi è la dimostrazione che la punizione e la repressione fini a sé stesse sono il fallimento di una politica che decide di non affiancare alla detenzione dei programmi efficaci di reinserimento sociale e di gestione della marginalità.

Anche O.C.V. era presente all’incontro per trattare l’importante tema dell’affettività nelle carceri, anche in ottica di prevenzione dei suicidi. In relazione a questo, il presidente Attilio Favaro ha sottolineato durante il suo intervento, l’importanza di considerare vittime di un reato anche i familiari della persona che ha commesso il reato e che, la carcerazione di quest’ultima, è un fatto che colpisce anche loro, colpevoli solo di essere legati affettivamente a quella persona. È proprio in questo spazio in cui le persone vengono private dei loro affetti che si inseriscono i volontari. In modo indiretto favoriscono le occasioni di contatto e di comunicazione tra le persone detenute e i loro cari, permettendogli di dare una continuità ai rapporti affettivi e famigliari. In modo diretto, i volontari creano delle relazioni di aiuto e di ascolto con le persone detenute per rendere meno sofferente e isolata la realtà della detenzione. In tutto ciò è importante che anche i volontari non siano isolati, ma che siano inseriti in una rete di supporto e di collaborazione con le istituzioni e gli operatori del carcere, per garantire a tutte le persone che vivono quotidianamente l’ambiente carcerario, di sentirsi inserite in una rete di rapporti che permetta di “recuperare il significato relazionale della giustizia” e favorisca un cambiamento che passa soprattutto attraverso la componente affettiva, la quale è alla base dei rapporti umani.

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